lunedì 31 agosto 2015

11

Ho appena finito di staccare la mia vita dal muro.
 
Ricordo quanto avessi desiderato, ormai quasi dieci anni fa, riempire le pareti della mia stanza appena ridipinta con fotografie, poster, frasi di canzoni, immagini che amavo o che odiavo, memorie.
Ricordo, quando lo ottenni, la sensazione di appagamento e la gioia che provavo, mista a una dolorosa malinconia, ad ogni cosa che, pazientemente e seguendo uno schema che avevo chiaro nella mia testa, incollavo sulla pittura verde chiaro.
Ricordo che pensavo che saremmo cresciute insieme, io e le mie mura, che sarebbero sempre state lo specchio della mia anima, che quella sarebbe sempre stata la mia stanza, il mio rifugio sicuro contro tutto e tutti.
 
 
Poi ha iniziato ad affollarsi troppo.
Troppe foto da stampare, troppe frasi da ricordare, troppi volti che, mentre dormivano, mi scrutavano.
Poi è arrivato il dolore, e ho strappato via dalle pareti immagini troppo cattive, trascinandomi dietro l'intonaco.
Ho coperto i buchi con nuove cose felici, ma alla fine il vuoto sotto è rimasto, e tutt'ora sono costretta a coprirlo "perché un buco su un muro è brutto da vedere", dice mia madre.
Poi sono arrivate nuove persone, persone gelose di quelle vecchie, che mi hanno convinto a tirare via da lì volti che mi avevano fatto soffrire troppo, ma che mi ostinavo a fissare, quasi sfidandoli, quasi a dire "non ho più paura di te".
 
Poi è arrivata la vita fuori dalla mia stanza.
Sono arrivati gli anni trascorsi troppo lontana dalla mia casa.
E' arrivata l'alienazione.
 
La mia stanza non era più mia.
E ogni volta che ci tornavo, mi sentivo aggredita da tutti quegli occhi, violentata da tutte le emozioni che avevo sopportato su quel letto.
 
Lentamente, col tempo, le frasi, le foto, tutte le cose, hanno iniziato a scollarsi, e a volare leggere a terra, lasciando sul muro l'impronta vistosa della colla e un nuovo spazio.
Per anni mi sono ostinata, ogni volta che rimettevo piede "nel mio posto sicuro" a riattaccare tutto ciò che in mia assenza se n'era andato. Ma non è servito a molto.
 
Ormai tutto era decadente.
Ormai tutto era... Privo di significato. Se non uno: quella stanza è ancora lo specchio della mia anima.
E la mia anima in questi anni si è trasformata in un luogo privo di cure, in un luogo in cui le cose vecchie cadono da sole come foglie, senza che nessuno si occupi di potarle come si deve.
Un luogo pieno di buchi, un luogo tempestato di brutte toppe di colla, un luogo che "forse sarebbe meglio ricoprire tutto con una bella carta da parati".
Ma a che servirebbe? Sotto lo squallore resterebbe, la paura, la solitudine, il dolore restano, restano sempre.
 
 
Ho levato una ad una le frasi che mi hanno riempito il cuore per anni, i volti che un tempo mi avevano sorriso, gli anni che sono trascorsi senza che me ne accorgessi.
Ho grattato con le unghie i pezzi di carta rimasti ancorati, testardi, sul muro.
Mi sono sentita come se, ad ogni immagine, strappassi via un pezzo di me: un pezzo della mia pelle, un pezzo di qualcosa che troppo profondamente, qui dentro, giace.
Ho sentito forte il familiare groppo in gola, ma ho cantato, ho continuato a cantare a voce alta, sbagliando le parole, senza neanche pensarci, le frasi dell'ultima canzone che aveva deciso di staccarsi da sola, pochi giorni fa, poggiandosi sul mio comodino: In The End dei Linkin Park.
 
E poi mi sono fermata.
Ho guardato la mia stanza prima di uscire: era spoglia, era vuota, era nuda.
Mi sento allo stesso modo.
Ormai, dopo tutto quello che è successo, dopo tutte le illusioni che mi sono dovuta strappare di dosso, è così che mi sento.
Ho perso le cose e le persone che erano i pilastri della mia vita, e sono rimasta vuota.
 
Ma il vuoto si colma, e posso raccontare come.
 
Sulle pareti sono rimasti i miei draghi, Freddie Mercury che canta, una foto delle Cliffs of Moher e qualche altra immagine dell'Irlanda.
E tanti, tanti segni sul muro.
I segni di qualcosa, o di qualcuno, che ho, ogni volta, amato e vissuto fino in fondo, che vanno lasciati a vista, almeno per un po', perché non è sbagliato mostrare le proprie cicatrici.
 
E poi, lentamente, il vuoto si colmerà. O mi abituerò a esso, vedendomi spoglia, e limpida.
 
Perché non ho più paura.
Perché non sono mai sola, ormai.
 
Ci sono sempre io con me.
 
 
 
"Ma alla fine, non importa neanche: dovevo cadere per perdere tutto."
 
 




ArHaL
Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.