venerdì 6 gennaio 2012

Gennaio 2010


Meglio studiare.

scritto da: ArHaL

Mente svuotata
e cuore pesante.


sabato, 30 gennaio 2010 alle ore 20:45
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





Vite Parallele
scritto da: ArHaL

Ore 18.30, Goodbye Morning.

Il taxi sfrecciava sulla statale, cazzo, chissà quanto avrebbe pagato a fine corsa.
Ma chi se ne importava, era il fine settimana e l'avrebbe passato con lui a casa, voleva farlo contento con quella sorpresa. Aveva le chiavi del suo appartamento al dodicesimo piano. Sarebbe scesa da quel fottuto taxi, sarebbe salita e l'avrebbe aspettato. Gli avrebbe cucinato il suo piatto preferito, avrebbero visto il dvd dell'ennesimo concerto di Leonard Cohen e poi avrebbero fatto l'amore.
Non chiedeva molto, voleva solo stare con lui, almeno quei tre stupidi giorni.
E poi tuffarsi di nuovo nella routine asfissiante del suo lavoro.
Era appoggiata al vetro del finestrino, guardava scorrere i palazzi con indifferenza. E anche con indecisione. Avrebbe dipinto la facciata di casa sua di verde o di azzurro?
Il taxi frenò bloccando bruscamente i suoi più irrilevanti problemi. Degnò d'attenzione quello che c'era al di là di quel vetro freddo. Pioggia. Si sforzò di guardare ancora più in là. Non erano ancora arrivati. Si sporse verso il tassista e chiese: "Perchè diavolo siamo fermi?!" con una leggera punta d'isteria nella voce. Erano anni che aveva imparato a convivere con il nervosismo latente di chi lavora come ricercatrice e non si vergognava più a mostrarlo liberamente. Il tassista scosse il capo, rassegnato.
"Traffico, non vede?"
Madelaine sbottò, ancora più isterica.
"Mi lasci qui, le pago la corsa fino a questo punto."
"Come vuole... Fin qui fanno..."
"Sì, sì, ho visto il tassametro, prenda e tenga il resto."
Corse fuori dopo aver lasciato i soldi sul sedile accanto al guidatore.
Chiuse con forza lo sportello dietro sè. Acqua a secchi dal cielo.
"Cazzo."
Una batosta di freddo l'avvolse, ma non si lagnò. Si portò velocemente sul marciapiede, non senza farsi suonare da un guidatore indispettito dal vederla attraversare davanti al muso della propria stupida automobile grigio metallizato. Camminava veloce, aveva addosso solo un cappotto di cotone stretto sul petto dalla tracolla della borsa.
Ad occhio e croce doveva essere non troppo lontana. Espirò rumorosamente e vide una nuvoletta di fiato condensato comparire davanti al suo viso. Ci si tuffò un istante dopo, facendola sparire.
Nonostante il freddo, si sentiva più calma. Tra non molto l'avrebbe rivisto. Espirò di nuovo, stavolta sospirando. I suoi giorni con lui. Non voleva altro, nient'altro.
Ai piedi del palazzo alzò il viso in su. La pioggia le colpì le palpebre, costringendola ad aprire e chiudere gli occhi più volte. Sì, era quello.
Entrò nella porta girevole, cazzo quant'era grande quel posto.
Prese istantaneamente l'ascensore già carico di almeno altre 20 persone, ma nonostante questo c'era ancora abbastanza spazio. Gocciolava acqua e chissà come doveva avere i capelli e il trucco. Cercò di specchiarsi, ma intercettò prima della sua immagine riflessa, sguardi indiscreti che la fissavano con disapprovazione. Che diamine, fuori pioveva, cos'avevano da guardare?!
Dodicesimo piano, eccolo.
Volò fuori dalle porte non appena furono aperte. Stanza 325.
Là, in fondo. Quasi correva.
Umido, fiatone, caldo asfissiante di quel corridoio.
Porta bianca, scritta nera. 3 2 5.
Respirò a fondo.
Accostò l'orecchio alla porta. Nessun rumore.
Non c'era, di sicuro. Aveva sempre la radio, la tv, il lettore, la console, qualcosa di elettronico e rumoroso acceso quand'era in casa.
Infilo la chiave nella toppa. Si sentì una ladra senza alcun motivo. Era sicura che lui non aveva nulla in contrario, gliel'aveva detto mille volte di poter entrare nel suo appartamento senza problemi anche se lui non era in casa.
Bene, nessuno all'entrata. Buttò un'occhiata a destra. Nessuno in cucina. Prima vittoria.
Si richiuse la porta alle spalle, non troppo rumorosamente. Poggiò le chiavi sulla credenzona ottocentesca che occupava metà dello già stretto corridoio. Orrenda. Ma era della nonna.
Si tolse la borsa, a terra. E quello che rimaneva del cappotto, all'appendiabiti.
Fece qualche altro passo e si portò sulla sinistra. Si affacciò nel salotto. Vuoto.
Bene. Di là c'erano solo il bagno e la stanza da letto.
Doveva assolutamente guardarsi allo specchio.
Si diresse verso il bagno. Quasi saltellava dalla felicità. Dentro quell'appartamento scioglieva sempre tutti i muscoli, abbassava tutte le proprie difese e stava... Bene. Bene, sì, bene.
Abbassò la maniglia del bagno. Cigolava sempre un casino. Socchiuse la porta del bagno.
"Cos'è stato?"
"Niente, Marco, sarà la pioggia sui vetri, torna qui..."
"La pioggia non fa tutto questo casino!"
Era in casa. Non da solo.
Mollò la presa sulla maniglia della porta del bagno e la spostò istintivamente su quella della stanza da letto da cui proveniva la voce di Marco e quella di una ragazza.
Poteva essere un'amica, una collega.
No, non lo era e lei lo sapeva. E sapeva anche cosa fare in questi casi. Attraversa il corridoio, aprire la porta ed andarsene. Non stavano insieme, lo sapeva bene.
Ok, niente panico. Ora molli questa maniglia, ti volti e te ne vai. Con calma, tranquillamente. Sì, ecco, te ne andrai, non avrai visto nulla. Bene.
Dalla camera non provenivano più voci, Marco si era convinto che il rumore non era quello della maniglia del suo bagno. Non voleva sforzare l'udito per percepire altri tipi di voci.
Oh, sì, ora mollerai quella maniglia, ti volterai e te ne andrai.
Proprio così.
Il cuore le batteva all'impazzata. Non seppe neanche il perchè, ma la maniglia, invece di lasciarla andare, l'abbassò. Aprì la porta nè con troppa calma, nè con troppa foga.
Erano sul letto. Sarebbe meglio dire "nel" letto in realtà. Lei era tra le braccia di Marco, piuttosto discintamente, aggiungerei. L'avevano vista, entrambi. Si erano voltati subito.
Rimase pietrificata. Non aveva idea di che tipo di espressione avesse assunto, sapeva solo che non poteva cambiarla.
Ma durò poco, poco davvero.
"Scusate."
Sbattè le palpebre e si richiuse la porta dietro di sè.
Fece qualche passo nel corridoio in penombra. Non pensava. Assorbiva solamente il concetto che aveva fatto un'enorme cazzata. Una colossale cazzata. Non doveva entrare.
Basta, era passata, fine. Ora avrebbe preso il suo dannato cappotto, aperto quella dannata porta e riscesa su quel dannato ascensore.
E basta.
Dopo due passi dovette appoggiarsi al muro con il braccio. Respirava a fatica. Non aveva una spiegazione fisica, nè fisiologica.
Solo non respirava, non si ossigenava, non sentiva le sue narici funzionare. Socchiuse la bocca per cercare di risolvere il problema respiratorio.
Si accorse che oltre a non respirare, non sentiva. No, realmente, era diventata sorda.
Peccato. Chissà se stavano urlando, o se avevano ripreso da dove erano stati interrotti. Avrebbe voluto quantomeno saperlo.
Non sentiva, eppura riuscì a percepire il clangore metallico della maniglia che come al rallenty, così le sembrava, si riapriva e si richiudeva subito dopo.
Una presenza dietro di sè. Marco, ci avrebbe giurato.
Istintivamente si portò una mano al viso. Gli dava le spalle, non l'avrebbe vista.
Il viso si era asciugato dalla pioggia, ma era bagnato da qualcos'altro. No, non era possibile.
Si strofinò di forza le guance, riprese con vigore a respirare.
E a camminare.
Scattò in avanti, ma senza fretta. Sentiva Marco seguirla, lo percepì persino mentre stava per aprire la bocca per chiamarla.
Ma la maniglia si abbassò di nuovo.
"Marco, che diavolo sta succedendo?!"
Lei era uscita dalla stanza da letto, giusto in tempo per vedere la figura, o l'ombra, di Madelaine sparire dietro la piccola curvatura del corridoio.
Non sentiva più Marco dietro sè.
"Torna in camera Veronika!"
Caspita, ci sentiva anche di nuovo. Progressi.
Si infilò in cucina.
Sapeva che sarebbe dovuta uscire, ma aveva appena ripreso a respirare, una cosa alla volta.
Era piuttosto... Stordita.
Si portò una mano alla fronte.
Urla di Marco e di questa Veronika attutite dalla piccola distanza che aveva strappato.
Il lavandino.
Sì, acqua, ancora.
Acqua, lavarsi il viso.
Togliere tutto ciò che rimaneva del trucco e di quelle stupide, insulse, insensate lacrime.
Lui lo sapeva, sapeva che lei stava piangendo. Sapeva anche benissimo che Madelaine odiava farsi vedere piangere, soprattutto da uno sconosciuto. Per questo voleva fermare Veronika.
Ma Marco si sbagliava. Madalaine aveva smesso di piangere.
Si immerse quasi con tutta la testa ed aprì di scatto il getto.
Fredda.
Quello che ci voleva.
Il gelo avrebbe calmato un eventuale rossore negli occhi. Sì, quello che ci voleva. Svegliarsi.
Le bruciavano gli occhi.
Era il trucco tolto male, lo sapeva.
Rimase qualche altro istante là sotto, non sentiva nulla.
Chiuse l'acqua.
"Lasciami, lasciami andare in cucina, voglio vederla!"
"No, Veronika, ho detto di no!"
E lei era calmissima. Placida. Respirava, sentiva, deglutiva. E poi respirava di nuovo.
Aveva gli occhi serrati per il bruciore.
Cercò a tentoni qualcosa per asciugarsi.
Stoffa, non troppo lontana, ottimo.
Se la portò al viso, sollevandosi.
Si strofinò le guance e gli occhi per primi.
"Chi è? Dimmelo!"
"Nessuno, Veronika, basta, va di là!"
Poi passò alla fronte, al mento e al collo.
"Se è Nessuno perchè non posso vederla in faccia? Dimmi chi è Marco!"
"Veronika ho detto di tornare in camera, vai!"
Le voci erano più vicine. Lei aveva finito di asciugarsi il viso.
Che tonalità diverse, anche se entrambi erano calati nello stesso contesto.
Cioè, avrebbero dovuto essere entrambi rabbiosi, rammaricati. O almeno sembrava così Veronika.
Marco no. Non era arrabbiato. Nonostante urlasse, sembrava calmo. Al massimo infastidito.
Se lo immaginava il suo sguardo su Veronika, in questo momento. Uno sguardo molto Ultimo dei Moicani, ad occhio e croce.
Si sentiva i capelli scompigliati e umidi ovunque. Se li sarebbe legati.
Stava per poggiare sul lavello ciò con cui si era asciugata, quando si accorse che era il grembiule da cucina.
Tu pensa: non si era mai asciugata la faccia con un grembiule. C'è sempre una prima volta.
"Perchè non mi hai detto che eri fidanzato, perchè non me l'hai detto?"
Vabbè, poverina. Non lo sapeva. Eh.
"Veronika, smettila, basta, per favore!"
Ah, sì, anche le suppliche. Divertente.
Stava contemplando il grembiule. A parte i residui di matita nera freschi, era immacolato. Madelaine non usava mai il grembiule quando cucinava, a dispetto di quanto le aveva sempre raccomandato sua madre, e, a quanto pare, neanche Marco.
"Lasciami andare!"
Dal tono e dal rimbalzo, sì dal rimbalzo, che aveva fatto la voce di Veronika avrebbe potuto giurare che si era liberata dalla presa sul polso con la quale sicuramente Marco la stava trattenendo.
Sbattè le palpebre, smettendo di fissare il grembiule. Almeno era stato usato una volta, era servito a qualcosa.
Sentiva i passi rabbiosi della ragazza avvicinarsi.
A qualcosa.

Invece di mollare lì quell'ingombro che aveva in mano e scappare fuori da quella stupida cucina prima che la ragazza vi facesse irruzione, si mise il grembiule addosso.
Se lo allacciò dietro la schiena, lo stirò con le mani. Belle, le macchie scure lo facevano sentire usato.
Si tolse un elastico dal polso e si legò i capelli in una coda alta.
Corse dietro la porta della cucina, lì dove sapeva ci fosse un'altra piccola porta che dava allo sgabbuzzino.
"Veronika, fermati!"
Oh, che uomo disperato.
Madelaine si tolse gli stivali. C'erano un paio di scarpe da ginnastica nell'angolo. Chissà quando le aveva lasciate lì. Se le mise ai piedi, chinandosi con calma e allacciandosele piuttosto velocemente.
"Dov'è?"
Quanta furia. Se la immaginava. Di sicuro aveva addosso un babydoll di raso, azzurro.
Si trasse di tasca il pacco della sigarette e l'accendino. Se ne misa una in bocca, l'accese.
Gettò il resto a terra.
Poi afferrò la scopa, il sacco della spazzatura da buttare che Marco teneva dietro la porta del ripostiglio ed uscì, arrivando con una bella falcata in cucina.
Erano lì, tutti e due.
Veronika, sulla soglia dell'isteria, che si guardava ancora intorno, nonostante fosse lì da 3 minuti buoni e nonostante quella cucina fosse un buco.
E Marco subito dietro, con la mano tesa verso di lei, quasi a volerla riafferrare, anche se ormai era troppo tardi.
Madaleine faceva la sua bella figura. Senza trucco, i capelli arruffati e legati in una coda, il grembiule addosso, in una mano la scopa e nell'altra la busta nera della spazzatura, la sigaretta fumante sorretta dalle labbra.
Li fissò entrambi.
Silenzio. Sgomento. Sorpresa.
Parlò a mezze labbra.
"Quante storie, signorina."
Abbassò lo sguardo, poggiò a terra il sacco. Si portò la mano alle labbra, fece un bel tiro.
Ripropose la sua voce, espirando il fumo, con le labbra libere stavolta.
"Ho chiesto già scusa per essere piombata in stanza, non volevo e non vedo il motivo di farla tanto lunga."
Marco era nei suoi boxer aderenti neri.
Veronika aveva il babydoll. Di raso. Rosa confetto.
Cazzo, di poco.
Ciccò noncurantemente a terra, si rimise la sigaretta all'angolo della bocca e riprese il sacco della spazzatura in mano.
Fece qualche passo deciso verso i due, piuttosto tremanti e, ancora, sorpresi, a dirla tutta.
Poco svegli, poco svegli.
Stava per passargli accanto ed andare in corridoio, quando la ragazza si decise a parlare.
"Ma lei... Lei chi è...?"
"Io?"
Lei annuì, poco convinta e con le sopracciglia parecchio vicine.
Madelaine lanciò uno sguardo tra lo stupito e lo sperduto a Marco come a chiedere perchè la giovane donzella ponesse questo banale quesito. Lui, da parte sua, si limitò a continuare a fissare, vuoto, la scena. Ebbe il coraggio giusto un secondo di fissarla negli occhi e lei non volle neanche perdere tempo a decifrare quel suo messaggio insensato.
Si voltò a fissare di nuovo Veronika, sorridendo baldanzosa.
"Io sono la cameriera!"
Piegò di lato il collo, facendolo scricchiolare in modo che il più ubriaco dei camionisti sarebbe stato orgoglioso di lei.
"Scusa, permetti?"
Mollò in mano a Veronika la scopa, afferrò il sacco della spazzatura con due mani e se lo caricò su una spalla. Lo resse con una mano, mentre con l'altra si traeva fuori di bocca la sigaretta di nuovo e ciccava ancora a terra. Espirò il fumo in alto. E tornò a fissare lui.
"Signorino Marco, non le dispiace se buttò via io oggi la spazzatura? So che le piace tanto farlo, ma devo mettere in ordine! In fondo lei mi paga per questo!"
Sghignazzò rumorosamente, si rimise la sigaretta tra le labbra e si infilò nel corridoio, lasciandosi alle spalle un Marco piuttosto imbambolato e una Veronika reggente scopa.
Aprì la porta, la richiuse, uscendo, un istante dopo, senza sentire la necessità di voltarsi.
Appena fuori, poggiò il sacco della spazzatura a terra, si tolse la sigaretta di bocca, espirando e fissando il 325 nero sulla porta bianca.
Dopodichè spense il mozzicone proprio sotto il numero. Un leggero odore di bruciato comparve nell'aria calda, per scomparire subito dopo.
Ora quel 325 non era più l'unica cosa nera su quella porta bianca.
Voltò le spalle al sacco della spazzatura e si avviò verso l'ascensore.


sabato, 30 gennaio 2010 alle ore 00:16
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





Ripetitiva.
scritto da: ArHaL

La vita se ne fotte.
Va avanti.
Sempre.
Anche senza te, anche lasciandoti indietro.
Se ne fotte e va avanti.


giovedì, 28 gennaio 2010 alle ore 23:52
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





All'improvviso. (ovvero Elogio ad un camionista, ad una scimmia e alle sue banane)
scritto da: ArHaL

La scimmia numero 88 voleva diventare un uomo.

Si vestì, prese la sua ventiquattrore piena di banane e andò vicino all'autostrada.
Si sollevò, ben dritta con le spalle. E pose il pollice in su.
Fare autostop in autostrada? Che bestia!
Un camionista era felice, aveva appena finito il proprio carico di esplosivi all'industria di metallurgia pesante.
Vide da lontano un uomo impettito, in giacca e cravatta, un bel cappello calcato sulle tempie e una ventiquattrore.
-Oh, sarà di sicuro un uomo d'affari la cui BMW è andata in panne nel bel mezzo dell'autostrada...- Disse tra sè.
-Mi ricompenserà per il favore! Magari lavora per un'industria, magari potrebbe assumermi... Sono così stanco di trasportare esplosivi, è un lavoro così pericoloso, così dannoso per il prossimo, anche...-
Si accostò all'uomo con il cappello.
L'uomo (o meglio, la scimmia) salì senza dire una parola e si mise a sedere nel posto accanto al guidatore. In silenzio.
Il camionista pensò che doveva essere una persona molto decisa, fredda e sicura di sè. Gongolò, inserì la marcia e ripartì. Il camion rombava più allegramente, al suo orecchio.
Dopo circa 10 minuti di cammino in autostrada il camionista si rese conto che non sapeva dove l'uomo d'affari volesse essere portato. Allora si schiarì la voce, come a darsi importanza e parlò, con una voce più profonda del normale, gonfiando il petto mentre guidava:
-Allora, amico, dove ti devo lasciare?-
La scimmia non parlò. Restò ferma a fissare quello che c'era al di là del parabrezza, tamburellando lievemente le dita sulla ventiquattrore che aveva appoggiato sulle gambe.
Il camionista si voltò per un millesimo di secondo ad osservare da dove provenisse quel sottile rumore. Il suo occhio cadde sulle dita dell'animale... Così... Pelose.
Tornò a fissare la strada davanti a sè, senza tralasciare di fissare prima le proprie di dita. Accidenti, se erano pelose!
Quell'uomo, oltre ad essere un grandissimo imprenditore, doveva anche essere un gran signore, proprio come lui. Un maschio così villoso non poteva esser altro che un capo!
Lo svincolo dell'autostrada era vicino. Svolta a sinistra, svolta a destra.
-Dove?- Chiese a mezza voce, forse un pò titubante, il camionista.
La scimmia pensava ai fatti suoi, forse ponderava su quando aprire la valigia e mangiare tutte le banane che conteneva. Mentre era immersa in questi profondi pensieri, uno spasmo, uno scatto, un nervo che si era stancato di stare fermo, mosse il suo braccio. In fondo era una scimmia, doveva pur avere qualcosa di animalesco.
Bene, il suo braccio destro si alzò e andò a spiaccicare il palmo della mano contro il finestrino, alla sua destra.
Il camionista, tutto baldanzoso, mise istantaneamente le frecce e svoltò allegramente a destra.
In realtà sarebbe dovuto andare a sinistra, per riconsegnare il camion al garage della ditta.
Ma che gli importava? Presto sarebbe stato ricco, con un lavoro che non prevedeva il rischio di vita per nessuno, e allora se lo sarebbe comprato quel camion e avrebbe girato in lungo e in largo il mondo portando alle industrie, ai cantieri, agli stabilimenti qualcosa di buono, di pacifico, di naturale... Come della frutta, ad esempio.
La scimmia, nel frattempo, si era già stancata di toccare quel vetro freddo, liscio e piatto e aveva rimesso a tacere, buoni buoni, tutti i suoi istinti.
Dopo non molto giunsero all'entrata di una grande città. Il camionista, senza indugio, passò il casello ed entrò nella piccola metropoli. I grattacieli si sollevavano come alberi nelle foreste pluviali, le macchine e i motorini sciamavano come api ai lati del possente camion, rubandosi a vicenda la strada, neanche fossero animali che vogliono difendere il proprio territorio.
La scimmia in doppiopetto si permise, allora, di guardare fuori dal finestrino. La meraviglia fu tanta che la sua gola non potè non emettere un "UhUh" di esclamazione.
Il guidatore, al suono di quella voce, restò basito.
Quale grandissimo oratore, quale splendido sofista, poteva avere un tono così profondo e coinvolgente?
Era bastata una sola parola e già era stato rapito dalle sue movenze! Sì, ormai ne era certo: quell'uomo gli avrebbe cambiato la vita!
Ma un problema rimaneva di fondo: quale tra questi giganteschi edifici poteva essere la sede dei suoi uffici?
Il camionista ormai aveva capito che quel grand'uomo che gli stava seduto quasi immobile al fianco era di poche parole... In fondo, che poteva pretendere? Un così grande capo non può certo sprecar fiato con un sempliciotto come lui!
Continuava ad aggirarsi per le intricate vie di città, quando la scimmia, senza alcun motivo preciso, si toccò la visiera dell'ampio cappello scuro (probabilmente iniziava a dargli un qualche tipo di fastidio).
Il camionista colse subito questo cambio di posizione e, sporgendosi un pò per guardare meglio dal parabrezza, notò di essere quasi giunto al più alto di tutti i grattacieli che occupavano i cieli di quel posto.
"Ma certo!" pensò "Come poteva essere altrimenti?!"
Accostò pochi istanti dopo giusto all'entrata del palazzo.
La scimmia, essendosi accorta che quello strano coso che la trasportava si era improvvisamente immobilizzato, non esitò a scendere.
Ma, essendo appunto una scimmia, dimenticò la ventiquattrore con dentro le sue preziose banane sul sedile del camion. In fondo, anche gli uomini fanno spesso azioni del genere.
Leggermente barcollando, ma tenendosi sempre ben dritta, si avviò verso l'entrata dell'edificio.
Il camionista guardava quello straordinario imprenditore che si avviava con i suoi savi passi all'entrata di quel posto colossale, quasi con la mandibola penzoloni.
Dopo essersi guardata intorno, prima a destra, poi a sinistra, la bestiola si calcò il cappello in testa, probabilmente tirava un pò di vento, ed entrò nell'enorme porta girevole. La folla di uomini e donne, tutti in doppiopetto, tutti con la loro ventiquattrore la circondò subito e scomparve alla vista del camionista.
A quel punto il buon uomo strabuzzò gli occhi ancora una volta e tornò a fissare il volante.
Strinse le dita sulla gomma tondeggiante e decise che sarebbe rimasto un pò lì, fermo, ad aspettarlo.
Sarebbe tornato giù di sicuro.
Gli avrebbe offerto un lavoro, un carico di frutta, sì, di frutta fresca e dolce da trasportare in posti lontani, caldi ed esotici.
Pensando a queste felici speranze notò, con la coda dell'occhio, qualcosa sul sedile accanto a lui.
La ventiquattrore dell'uomo!
L'aveva lasciata lì?!
Un uomo come lui?!
Impossibile! Ad ogni suo gesto di sicuro corrispondeva una precisa intenzione!
Ma comunque lui, stupido camionista, che ne poteva sapere?
L'avrebbe presa, sarebbe sceso dal suo camion e gliel'avrebbe riportata.
Ma certo! Quella mente geniale voleva proprio questo!
Che lui capisse di riportargli la valigia! Così avrebbe dimostrato intuito, lealtà, onestà, perseveranza, gentilezza, obbedienza e spirito d'iniziativa!
E il carico di frutta sarebbe stato suo!
Era già sul punto di mettere un piede fuori dal camion, quando si accorse di non sapere il nome dello splendido uomo che aveva avuto accanto.
Come trovarlo in quella bolgia di uffici, segretari e imprenditori?
Allora si fece coraggio (certamente, anche questo rientrava nei suoi geniali piani!) e aprì la valigietta: di sicuro ci aveva lasciato dentro dei documenti per essere riconosciuto ed individuato!
Dischiuse le serrature, che erano senza combinazione segreta (un altro segno del suo fantastico piano) ed aprì, lentamente, con emozione, la valigietta.
Era piena di banane.
Gialle, fresche, mature banane.
I suoi occhi si riempirono di commozione.
Quel grandissimo, fantastico, magnifico, geniale uomo, imprenditore, finanziere che sia... Aveva già capito tutto.
Come, come aveva fatto? Aveva avuto accanto una cotanta presenza e forse non l'aveva onorata abbastanza...
Si asciugò i lucciconi dagli occhi, deciso. Richiuse lo sportello.
E partì.
Capì che non importava la meta. Capì che l'importante era consegnare il suo carico, qualunque esso fosse.
E felice delle proprie banane, in men che non si dica, scomparve dalle strade di quella metropoli, verso il luogo in cui qualcuno, chissà come, chissà perchè, aspettava, sì, stava aspettando, quelle bellissime banane.

Per quanto riguarda la scimmia, bè, lei era già di sicuro una scimmia morta.
Anche se ancora non lo sapeva.


domenica, 24 gennaio 2010 alle ore 12:34
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





Lt2M XXVIII
scritto da: ArHaL


Grida

Scatta forte la tua rabbia ed è cieca, lei non lo sa,
lei non sa quanto sei forte,
ma tu batti spesso il passo per l'afa che tirerà
e se c'è tu non vai oltre,
ma ripetiti ogni giorno:
"faccio tutto quel che posso:
sono un vero osso duro, asso, grosso!".
Ti senti meglio adesso?
Mettiti in forze e guarda su
e dacci dentro tu di più;
parte la tua gara più ardita,
la partita va giocata
con fatica infinita...

Fatti forza è la vita sai che ti sfida,
ti invita a duellare con lei;
forse vinci e mollerai...
Magari invece riderai.
E sbagli e affoghi, ma poi riuscirai
in questa grande olimpiade
di me, di te, dell'anima.


Salta
la distanza che separa i tuoi sogni dalla realtà...
Bruciala, sfreccia e va... Sgomma!
Passa a destra, occhio in curva si rischia, questo si sa,
molto facile il testa coda,
ma tu spingi l'acceleratore
tutto fino in fondo...
Tu sei un vero
Osso duro
Asso grosso
Gas a più non
Posso presto
E parti in quarta adesso!

Muoio ma non perdo!
Lo stai promettendo!
Batti il pugno sopra il petto,
giura urlando!
Casco e non mi arrendo...
Riderai vincendo...
E saprai che ciò che hai lo devi a te!




L'Olimpiade
T. Ferro


Return from Liége.


venerdì, 22 gennaio 2010 alle ore 16:58
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





The End.
scritto da: ArHaL

Nella realtà, nel mondo reale non esiste mai alcun lieto fine.
E se mai dovesse esistere sarebbe così surreale da sembrare finto, forzato, falsato.
I lieto fine dei film fanno sorridere come si sorride di un sogno bello che ci ha accompagnato durante il sonno e che ci ha regalato un buon risveglio.
Qualcosa che, finito il film, finito il sogno, svanisce poco dopo, spesso trascinandosi dietro un piacevole sapore dolciastro in fondo alla gola, ma che naturalmente lascia spazio poco dopo alla più consona e sgradevole melassa che sa di smog e insoddisfazione.
I lieto fine, nella realtà, ingannano.
Compaiono, felici e brillanti, alla fine di una storia. Il fatto è che la storia non ha mai fine, fin quando, appunto, non è finita.
Ma la fine di una storia si può sancire definitivamente solo con la scomparsa altrettanto definitiva dei personaggi che la vivono e la popolano.
Quindi, fin quando si è capaci di pensare alla fine, non sarà mai realmente finita. Perchè qualcosa può sempre accadere, qualcosa può sempre cambiare la fine della storia.
Ecco, sono qui che appaiono i lieto fine.
Lì, nella presunta fine. Scaldano il cuore dei protagonisti.
Ma la fine non è la fine.
E i lieto fine spariscono.
Spariscono sempre.


domenica, 17 gennaio 2010 alle ore 01:32
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





Uhahahahahahahahahahahahahahahaha!
scritto da: ArHaL

E PE MMIA!

=D


mercoledì, 13 gennaio 2010 alle ore 19:25
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





Niente.
scritto da: ArHaL

Oggi inizio a studiare. Per forza.


lunedì, 11 gennaio 2010 alle ore 10:07
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





Return!
scritto da: ArHaL

In Florence & Under the Rain.


venerdì, 08 gennaio 2010 alle ore 21:48
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





(8)
scritto da: ArHaL

Domani partirò, sarà più facile dimenticare, dimenticare.
Ancora, giàgià.
Prima o poi, sìsì.


Ho i capelli blu.
Quasi come Nihal =D

Tutto procede bene, fondamentalmente.
Sono io che non vado, ma cammino, proseguo dritto.
Indietro non ci torno, non ci torno più.
L'importante è andare avanti, andare avanti è tutto.

Buonanotte, fiorellino.
(=


venerdì, 08 gennaio 2010 alle ore 01:34
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





Yayayayaya!
scritto da: ArHaL

Parlare
all'una di notte
sulla chat di facebook
con un amico spagnolo
di Nietzsche & co.
in inglese...



...ti realizza XD


giovedì, 07 gennaio 2010 alle ore 01:01
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





Parnassus
scritto da: ArHaL

Ahm, uhm, bel film, sì. Mi mette un pò tristezza, per Ledger. Grande attore, grande perdita.
Ancora non l'ho capito bene il film. Lo sto elaborando.

Tendenzialmente non ho un altro titolo.

Volevo dire da un pò che... Voglio dire.
Sì, assolutamente, necessito dire, necessito scrivere.
Mi sento piena di cose da scrivere.
Ma è come se non trovassi tempo, eppure ne ho così tanto.
Mi sento pressata dalle cose che non faccio.
Dalle cose che dovrei studiare.

Sì, il caos letterario, il caos artistico.
Sto sfasando troppo.
Se non riesco a fare ciò che devo fare, non riesco a fare neanche quello che potrei fare.

Voglio darmi una regolata.

Speriamo che l'8 l'aereo decolli.
Ho voglia di tornare a Firenze, questo posto mi sta ingabbiando di nuovo.
Ho ricominciato a fare incubi assurdi, la notte non so che parete guardare prima di assopirmi.
Ho bisogno di posti non ancora totalmente miei.
Sono stufa dei ricordi.

Ho bisogno di nuovo.


mercoledì, 06 gennaio 2010 alle ore 17:14
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





Lt2M XXVII
scritto da: ArHaL

Buonanotte buonanotte
amore mio
buonanotte tra il telefono
e il cielo
ti ringrazio per avermi stupito
per avermi giurato che e' vero
il granturco nei campi e' maturo
ed ho tanto bisogno di te
la coperta e' gelata
e l'estate e' finita
buonanotte questa notte e' per te.
Buonanotte buonanotte fiorellino
Buonanotte tra le stelle
e la stanza
per sognarti devo averti vicino
e vicino non e' ancora abbastanza
ora un raggio di sole
si e' fermato
proprio sopra il mio biglietto
scaduto
tra i tuoi fiocchi di neve
e le tue foglie di te'
Buonanotte questa notte e' per te.
Buonanotte Buonanotte mogliettina
Buonanotte tra il mare
e la pioggia
la tristezza passera' domattina
e l'anello restera' sulla spiaggia
gli uccellini nel vento non
si fanno mai male
hanno ali piu' grandi di me
e dall'alba al tramonto
sono soli nel sole
Buonanotte
questa notte e' per te
questa notte e' per te


Buonanotte Fiorellino
F.De Gregori


martedì, 05 gennaio 2010 alle ore 01:38
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





2009. The End.
scritto da: ArHaL

Gennaio
Vita serena con Sasà
A volte sentirsi sola
Pensare allo Yeti
Pensare ad Umberto
Ascoltare De André
Latino allo scritto
Un Malato di Cuore

Febbraio
Rifugiarsi nella letteratura
Perdere il piercing
Studiare
Sentirsi incompresi
E lontana da Sasà
Salutare Carmelo e Pasquale
Hotel Supramonte

Marzo
Umberto
Di nuovo qui
Baciarlo
Esserci di nuovo dentro
Scappare a Salerno
(senza che nessuno lo sappia)
Poesie
Illusioni
Grecia come gita scolastica
Passion

Aprile
Gita scolastica in Grecia
Vedere Umberto ancora
Salutarlo
(di nuovo l'11 Aprile)
Influenza
Preavviso del peggio
Stories

Maggio
Vecchi fantasmi
Insonnia
Deja vu
Troppe persone
E desiderarne una
Ultime interrogazioni
Ricordi
Decidere per Firenze
Incubi
Apparecchio
Sentirsi frustrata
Cercare Umberto nei prati
Ultimo compito di Greco
Sentirsi di nuovo come nel 2007
Fortunata ed Infelice
Vecchi Difetti

Giugno
Ultimo giorno di scuola
Preparazione per gli esami di stato
Capire che si è dentro di nuovo
Cercare di scappare
Angelo
Stare tanto tempo con Linda
Continuare a sognare Umberto
Nei Nostri Luoghi

Luglio
Pensare ai viaggi
Studiare all'ultimo momento
Gli esami
Partire subito per Milano
Concerto degli U2
Esami di teoria della patente superati
Continuare ad aspettarlo
Lasciare Sasà
Concerto di Caparezza
Cercare di riempire il vuoto dentro
Simone
Sentirsi sempre a metà
Songbird

Agosto
Tanti concerti
Stare molto tempo con gli amici
Notti infinite
(felici e non)
Continuare a pensarlo, a sognarlo
Prepararsi per il trasferimento a Firenze
Falò per Ferragosto a Santa Teresa
Sentirsi tradita
Essere delusa
Nino
Tradire
Deludere
Safari

Settembre
Salutare tutti gli amici
Cristina
Risentire lo Yeti
Trasferirsi a Firenze
Test d'ingresso
Prime lezioni
Capire che ormai Umberto è un ossessione
Voler chiudere e disintossicarsi
Sentirsi a casa in una nuova città
Giovanni
Apologize

Ottobre
Convincersi che chiudere è la cosa giusta
19 anni
Qualche ricordo
Allergia
Sentirsi di nuovo innamorati
Paura
Incontrare Giovanni
Baciarlo
Sapere che è sbagliato
Sentirsi felice lo stesso
Andare a Bologna con lui
Stare bene, dopo tanto tempo
Forte, Produttiva, Indipendente, Non Melodrammatica
Vivere in un mondo surreale
Poter pensare di aiutare qualcuno con il suo sogno
Gli Ostacoli del Cuore

Novembre
Tornare a Palmi
Baciare Sasà
Incontrare Umberto a Napoli
E decidere di chiudere, definitivamente
Rientrare a Firenze
Sentirsi più leggera
Mandare tutti a quel paese
Cercare di capire le proprie priorità
Continuare a discutere
(con me e con gli altri)
Poesie per Giovanni
Poesie da Giovanni
Non studiare
Scrivere qualcosa su Umberto con serenità
Aiutare Clelia
BeppeAnna

Dicembre
Scappare a Brussel solo per vedere Giovanni
Momenti insieme
Ancora paura
Paura di illudersi
Neve su Firenze
Il mio primo pupazzo di neve
Tornare a Palmi per le feste
(nella valigia solo libri e regali)
Vita caotica
Sperare che per il lieto fine di qualcun altro
Stare con Sasà
E poi chiudere definitivamente
Andare in Sicilia per chiarire con Simone
Un pò di serenità
Vedersi con Giovanni
Passare il Capodanno con lui
Stare bene andando incontro ad un nuovo anno
Parlami d'Amore





Buon 2010.



domenica, 03 gennaio 2010 alle ore 02:19
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





Io sono Newrante.
scritto da: ArHaL

"Neanche tu sei una star

non ti vesti da coglione, non hai il papi importante

non hai il ciuffo da fighetto perché sono già in tanti

neanche tu sei un divo su myspace, non esci coi dj

neanche tu caghi sanremo e stai newrante bene come sei

io non sono una star, io sono newrante."








sabato, 02 gennaio 2010 alle ore 20:29
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





Away.
scritto da: ArHaL

Mancanza
nel vento
io canto
il pianto
che il mare
ti porti
ti culli
mi manchi
mio amore.


venerdì, 01 gennaio 2010 alle ore 17:23
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.





Capomudanno
scritto da: ArHaL

With you.


venerdì, 01 gennaio 2010 alle ore 12:18
♥♥♥

ArHaL

Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.

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