martedì 18 aprile 2017

From inside

La sera prima di tornare in Calabria per le vacanze di Pasqua, in mezzo al caos della mia stanza, ho visto sul comodino un ago di pino. O meglio, di abete.
Non ho idea di come sia arrivato lì, ma sicuramente è scappato da uno dei tanti pezzi di vita che ho riportato da casa di Gheri.

Sono rimasta a fissarlo per qualche secondo e avrei voluto sorridere al ricordo di quell'albero di Natale che abbiamo fatto insieme, decorandolo con tutte le cose che amavamo, a cui abbiamo dato un nome e che è stato di certo l'albero di Natale più bello che io abbia mai fatto.
Avrei voluto sorridere, ma non ce l'ho fatta. Perché ricordo distintamente ciò che pensavo mentre guardavo Gino (così lo avevo chiamato): ci potrà mai essere qualcosa di più bello di questo? Cosa dovrò inventarmi per i prossimi Natali insieme? E' davvero bellissimo.
E Gino aveva un nome buffo, era carico all'inverosimile, era anche tutto storto, ma era bello, bello davvero perché era pieno dei nostri sentimenti. Tanto che invece di chiedere il rimborso all'Ikea per l'acquisto dell'albero, come ci eravamo prefissati, l'abbiamo tenuto lì per mesi, fin quando proprio non si è seccato del tutto, e allora lo abbiamo smontato con delicatezza e l'abbiamo salutato con tutti gli onori.
Ogni volta che sono rientrata in sala guardavo il vuoto lasciato e mi veniva un po' da piangere.

E ancora mi chiedo come io sia sopravvissuta al vuoto immenso che ho visto in quella casa quando sono andata via con le mie cose.
Io non lo so.

Così come non ce l'ho fatta a sorridere fissando il comodino nella penombra, così come non ce l'ho fatta nemmeno a buttare via quel minuscolo ago di abete, non ce l'ho fatta nemmeno a toccarlo.
La mattina dopo sono partita ed è rimasto lì, insieme al caos della mia vita, insieme alla busta piena di cose di Gheri che non vorrei vedere mai più, eppure è ancora lì perché so che troverò altre cose che mi feriscono da metterci per poi chiuderla, insieme a tutte le altre, nello sgabuzzino.
Non so come sia successo, ma non avrei mai voluto che anche lui finisse lì.


Sono arrivata in Calabria e ho tirato un sospiro di sollievo: nella mia stanza ho vissuto infiniti momenti oscuri, ma almeno lui non è mai stato qui.
Prima di andare a dormire, dopo quel lunghissimo giorno di viaggio, saluto mio padre e trovo sulla sua scrivania il cd che gli avevo detto di ascoltare perché era tanto bello, perché era frutto della mente e delle mani e della passione di Gheri e io ne ero così orgogliosa ed innamorata, che doveva assolutamente ascoltarlo anche lui.

Sono rimasta ferma sulla porta ad osservare quel cd su quella scrivania, e mi sono chiesta cosa avrei dovuto fare, ancora una volta. Non volevo far ricadere la colpa su mio padre, che semplicemente l'aveva dimenticato lì e non l'ha neppure mai ascoltato, quindi l'ho preso, sforzandomi di ridere, dicendo che era meglio se non rimaneva in giro, e l'ho chiuso nel cassetto dei ricordi in camera mia.
Poi mi sono seduta sul letto e mi sono sentita completamente svuotata.
Le sue canzoni continuano a risuonarmi nella mente, anche se ormai non accendo neppure il mio iPod per paura che la riproduzione casuale mi infligga qualcosa che io non riuscirei a sopportare.

In questi momenti devo sempre ricordarmi che l'enorme posto che lasciano le cose grandi quando se ne vanno via deve essere riempito da tante cose piccole. Ed è quello che sto provando a fare, ogni giorno, per non dare ascolto alle spaventose voci che albergano nella mia testa.
Ma, nonostante sia abituata a conviverci, è difficile scacciarle ogni volta, difficile ripetermi che non vale nemmeno la pena piangere, difficile pensare al futuro.

Quale futuro, poi?
In nome di cosa devo sperare?
E sperare in cosa?





ArHaL
Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.

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