sabato 29 luglio 2017

onthebottom (this is not a news, I know)

E' tornato.
E' ormai qualche giorno che riesco a fare sempre meno, nonostante sia piena di cose da fare in arretrato.
Sono tornati i lunghissimi momenti, le lunghissime giornate, in cui non riesco più ad essere produttiva e sento il mio corpo pesante come piombo, tanto da non riuscire a muoverlo.
Sto di nuovo smettendo di mangiare e ogni volta che mi sforzo di farlo entro almeno un po' nella conosciuta irrequietudine, e quello è l'unico momento in cui mi obbligo a tenermi in movimento, a sbrigare cose per casa a caso pur di non stare ferma a pensare al mio malessere.
Non ho più voglia di uscire, né di vedere nessuno che non sia un volto sicuro, come magari quello di Santi in giro per casa che sbriga le sue cose. In questo momento sono in camera sua, la più fresca della casa, e la guardo mentre lavora al progetto: da un lato invidio la sua forza e la sua fermezza che l'hanno portata a superare i brutti momenti; lei riesce a mangiare, a studiare, a fare tutto ciò che deve e vuole. Dall'altro però mi sento in colpa perché riesce in tutto questo, ed io no. Mi sento giudicata da lei, dai miei, ma probabilmente il giudizio più duro me lo impongo da sola.
Questi anni di terapia se non altro mi hanno insegnato a rimanere lucida anche mentre sto sprofondando, a riconoscere i sintomi e ad accettare un po' di più la mia condizione, cercando di fare il minimo indispensabile per sopravvivere e per sentirmi utile: devo bere per non disidratarmi, devo mangiare qualcosa quando sento la pressione andare troppo giù, devo parlare con qualcuno di qualsiasi cosa, devo fare anche solo una piccola cosa necessaria, devo alzarmi e camminare ogni tanto, e via dicendo.
Devo farlo, ma non ne ho voglia. Vorrei solo sprofondare sul letto e scomparire, senza creare lutti a nessuno, come se non fossi esistita. Tanto alla fine il risultato sarà uguale perché non sto riuscendo a fare niente per cui essere ricordata, niente di utile per la società che mi chiede ora più che mai di farlo.
Tutte le persone con cui negli ultimi anni mi ero faticosamente costruita una stabilità non ci sono più nella mia vita.
Quella che sono riuscita a costruirmi, almeno un po', negli ultimi mesi mi sta consentendo a malapena di arrivare ogni giorno a fine giornata.
Scappo dai ricordi del passato di continuo e se penso al futuro, anche solo da qui a fra un mese, mi sembra di impazzire.
Non ho nessuna certezza, all'infuori di questa cosa informe che sono io.

In questo momento niente ha valore e nessuno mi sembra in grado di aiutarmi.
La razionalità mi dice che passerà anche stavolta.
Tutto il resto mi urla di spegnermi.
Ed io non posso farlo per le persone che mi vogliono bene. Che non si accontentano del fatto che io sopravviva perché dovrei essere più attiva, più produttiva, più attenta alle loro necessità, più costruttiva per il mio futuro.
Ma io ogni giorno mi chiedo che senso abbia questa corsa al premio, questo costruire una vita che comunque tra 60-70 anni verrà disfatta, questo dover faticare così tanto anche solo per continuare a sopravvivere come un qualsiasi altro animale.
Sarebbe bello se lo fossi. Ma invece sono nata dotata d'intelletto, a quanto pare difettato.
E tutti pretendono da me di più, e io non so darglielo.
Vorrei fare in modo di restare da sola, da sola per sempre, ma so che durerei poco perché sono un animale sociale e avrei bisogno di aiuto a volte. Perché ho dei maledetti ed inutili sentimenti.
Non ho mai saputo cosa farmene di tutto questo amore, di tutto questo rimescolare che a volte mi porta a scrivere, altre ad abbracciare, altre a stare vicino a persone anche sconosciute.
Vorrei spegnerli, spegnerli tutti definitivamente nell'apatia, perché a che mi serve provare felicità, innamorarmi, sperare che tutto andrà bene, se poi tutto si uccide nel dolore, nella rabbia, nella delusione.

E così finisco per oscillare come un pendolo rotto, confondendo e ferendo anche chi cerca di starmi vicino come può, passando da momenti di euforia, da momenti in cui riesco a spegnere il cervello e pensare che in qualche modo troverò il mio posto, a momenti più lunghi, più lenti, più profondi in cui allontano gli altri in tutti i modi che conosco per stare da sola, chiudermi nel mio bozzolo (in)sicuro e spegnermi come posso. Andrebbe bene anche così, se solo servisse a qualcosa. Se solo servisse a guarire, se solo servisse a rialzarmi, prima o poi.
Ma invece resterò così per sempre, guasta in un mondo in cui quasi tutti riescono ad avere uno scopo, fuori posto, alla continua ricerca di me stessa, di quello che voglio, inseguendo obiettivi che via via mi creo e via via mi chiudono porte in faccia, senza dei veri sogni, angosciata dagli incubi di ogni notte, fuggendo dai ricordi, e chiedendomi di continuo il perché di tutto, il perché della normalità, il perché della mia anormalità.
Anormale, ma non troppo. Seduta su quella sottile linea che mi consente di essere scambiata per una persona a posto, per una persona che è soltanto pigra, che non sa fare niente, che non ha idee chiare. Che mi consente di guardare nel vuoto e tremare e bramarlo.

Sul fondo.
C'è sempre un punto più basso.




ArHaL
Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.

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