sabato 9 dicembre 2017

entropia

I giorni stanno scorrendo lentamente e velocemente al contempo, se ciò è possibile. Ovviamente loro scorrono come sempre, sono io che in alcuni momenti mi vedo scorrere le cose tra le mani alla velocità della luce, e in altri conto i secondi nella speranza che il tempo si decida a essere più celere.

Come sempre (a quanto pare), stanno succedendo un sacco di cose assolutamente random e io non riesco a far altro che viverle, cercando di mantenermi il più stabile possibile e riportando di tanto in tanto qui i dettagli del mio viaggio, cercando di distaccarmene per quanto posso.

Martedì sera mi sono decisa a partecipare ad una serata di Poetry Slam e, anche se mi rendo conto razionalmente che sia una cosa stupida, irrazionalmente ero tesissima e la mia voce mentre leggevo era tremante. Ma quel tremore, unito all'intonazione che sono riuscita sforzandomi a dare a ciò che dicevo, in modo totalmente inaspettato mi ha portato alla vittoria. E quindi ho vinto, grazie agli applausi del pubblico, una pubblicazione su una rivista fiorentina e un pranzo per due persone in quel locale. Il fatto di per sé è positivo, ma io continuo a rimuginare sul fatto che ho letto le mie cose di fronte a tutte quelle persone e questa cosa mi manda in palla. Credo che sia il giudizio di per sé che, come sempre, mi manda in palla.
Ho letto tre testi, uno per round. Il primo era quella poesia pesantissima che ho scritto poco dopo aver lasciato Gheri, il secondo una cosa piuttosto semplice scritta una cosa come dieci anni fa che ho ritirato fuori proprio da questo blog, ed il terzo era un testo che ho creato accorpando cinque brevi testi che avevo scritto poco tempo dopo essermi messa con il già citato. Che citarlo per scritto mi fa meno paura di dirlo ad alta voce. Alla fine, quando mi hanno chiesto di fare un discorso al microfono e io non sapevo che dire, ho letto una parte di un brano che uso anche come testo per l'immagine di copertina su Facebook che credo che sia una delle cose più vere scritte per me di sempre. E poi mi sono presa gli abbracci e le congratulazioni di un sacco di persone, cercando di non sparire troppo nella vergogna (fallendo nell'intento, credo).

Intanto però per la maggior parte del tempo mi affanno tra annunci di case, agenti immobiliari, spostamenti rocamboleschi in autobus a vedere posti assurdi, impegni di vario tipo che continuo a prendere e che almeno il 60% delle volte non riesco a rispettare per la stanchezza psicofisica, e cerco tutto sommato di andare avanti con la mia vita in bilico. Ma in quei pochi momenti in cui riesco a levarmi dalla testa il fatto che tra meno di un mese potrei essere in mezzo ad una strada, riappare lui. Mille scene, tutte unite insieme, il nostro maledetto albero di Natale, le sue dita che montano il Millenium Falcon della Lego, il suo profilo serioso, il suo divano, la sua cucina, io e lui insieme a casa sua. A casa sua, che ho sentito così mia. Il giorno in cui ho portato via tutto. L'ultima volta che l'ho visto. Le stilettate di dolore che tuttora mi assalgono quando penso a come è finita. Tutte le cose brutte e, soprattutto purtroppo, tutte le cose belle.

Stasera ero a cena qui a casa e in tv hanno passato la pubblicità del film di Star Wars in uscita, che io naturalmente voglio vedere. Ma è bastato vedere il trailer, che finora avevo più o meno inconsciamente scansato su Facebook, per farmi scoppiare in lacrime e correre in camera mia per non farmi vedere da nessuno.
Sono passati quasi dieci mesi da quando è finita. E anche se ho pensato di stare meglio, anche se sto cercando di andare avanti, anche se sono così impegnata banalmente a sopravvivere, quando la notte mi trovo sola e non ancora troppo stanca, piango per lui.
Questa cosa mi distrugge perché è difficile accettarla, ma al contempo mi dico di pazientare, che se sono sopravvissuta a M., sopravviverò anche a questa. Continuando a fare incubi ogni tanto, ma superandola.

Ho bisogno di un angolo di tranquillità in cui rifugiarmi che al momento non credo di avere. Poi forse riuscirò a far andare tutto meglio. Magari anche a riprendere a studiare.
Ho ancora così tanto da fare su di me, nonostante tutto quello che ho fatto finora, che a volte mi sembra che non finirò mai. E forse è proprio così.
Vorrei solo riuscire a lasciarmi tutto il dolore passato alle spalle e trovare il modo di costruirmi un futuro sereno, per quanto possibile.

Nella speranza di pensieri più positivi, riporto il testo che ho letto nella finale della gara in 2 minuti e 58 secondi su un massimo di 3 (fortunatamente non sapevo che mi stessero cronometrando, altrimenti sarei andata in pappa):

"I nostri desideri fanno rumore: stormiscono, a volte, come foglie di pioppo scosse dal vento.
Vibrando, ora forte, ora lieve, ci riempiono le orecchie mentre passeggiamo lungo il nostro viale alberato. E’ allora che, se abbiamo indossato gli occhi del colore adatto, possiamo vederli brillare, appesi ai rami: ce ne sono moltissimi e, sotto la luce del sole, abbagliano la vista costringendoci a celarci lo sguardo con le mani.
Se siamo fortunati, coleranno via dalle nostre ciglia, bagnandoci i palmi, entrando sotto la nostra pelle e riempiendoci di ogni cosa bella.

I nostri desideri fanno rumore: scricchiolano, a volte, sopra la nostra testa.
Nel cuore della notte mentre dormiamo li sentiamo rimproverarci, all’improvviso, nel buio, e ci svegliamo di soprassalto, col cuore che batte troppo forte, e ci diciamo “è solo la mensola”, “è solo l’armadio”, ci giriamo dall’altro lato e torniamo ad assopirci di nuovo.
Ma loro ritornano, ritornano sempre, quando meno ce lo aspettiamo, per spaventarci e scuoterci e urlarci nelle orecchie “ricordati chi sei”.

I nostri desideri fanno rumore: gorgogliano, a volte, dentro al nostro stomaco.
Quando li percepiamo nella pancia e non riusciamo a fermarli, e grattano, e scavano, e graffiano, e, lentamente bruciando, salgono lungo l'esofago e finiscono con lo sporcarci la bocca di verità.
Quando sobbollendo ci riempiono le orecchie solo del loro verso, e si fermano lì dentro a cuocere, a diventare incandescenti e consumati, a essere inafferrabili.
Allora dobbiamo schiudere le labbra e fischiare, e cantare, e urlare, e sputare, e odiare, e amare, e dire che la dolcezza che portiamo con noi non ci fa più paura.

I nostri desideri fanno rumore: sibilano, a volte, come serpi che nascoste strisciano vicino ai nostri piedi nudi e noi finiamo sempre per correre via o calpestarli, fino ad ucciderli. Forse non ci è ancora chiaro che il veleno mette in circolo l'adrenalina e, seppur mortale, quel sottile sibilare strisciante sulla nostra pelle scoperta è l'unica strada.
A volte bisogna sdraiarsi a terra e lasciare che due denti affilati ci perforino il collo, a volte bisogna contorcersi e urlare e vomitare fuori tutto quello che siamo, per essere degni di bere un antidoto e afferrare quel desiderio guizzante, viscido, violento, ma nostro.

I nostri desideri fanno rumore: crepitano, a volte, come legna verde messa a bruciare.
Si accendono lentamente, sollevando fumi neri, fin quando, inevitabilmente, divampano.
E mentre muoiono, mentre diventano cenere, il nostro stesso respiro si fa turbinoso vento e li sparge, e loro scorrono sotto la pelle, si perdono fino alla punta delle dita, e noi tutti bruciamo, noi tutti crepitiamo, noi tutti riluciamo come tizzoni, un istante prima di spegnerci.
E quando non sappiamo più come ricostruirci perché i pezzi di cui siamo fatti sono già tutti in polvere, e possiamo solo restare a contare i fori sul nostro petto che ormai sono così tanti da aver aperto un enorme squarcio sul vuoto… Noi dobbiamo fermarci.

Fermarci ed ascoltare i nostri desideri che fanno rumore."




ArHaL
Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.

2 commenti:

Verge ha detto...

Non è d'altra parte frutto di una tua stessa scelta ciò che ora vivi?
Non decantar del bene se d'occhio per occhio, hai fatto del male.
Vige nel cuore, un profondo dolore, arde leggero ed anche spesso riporta la tua luce ad una speranza assorta.
Non ti riconosci più, nel bene o nel male, non ti vedi più come allora a spensierata a cantare, ed è forse questo che ci fa più male.
Nessuno di noi ti ha fatto soltanto del bene, ma è più dolce ricordar quello che sol le catene.
Le ombre del fu che si portan dolori, ricordi, sorrisi e lacrime, saranno lì a sorreggere ogni tuo passo seppur debole e incerto.
E chi del tempo ne ha ormai solo ricordo, usa il tuo come il più grande dono.



Unknown ha detto...

Ciao Verge, dopo tutto questo tempo ti ringrazio per questa poesia che mi hai dedicato, chiunque tu sia :)