La vita continua ad essere caotica e priva di certezze, ma io sto cercando di vivere giorno per giorno con tutta la serenità che ho. Sono sorpresa dalla mia calma, nonostante questo turbinio di insensatezza e cambiamento e, anche se devo ancora lavorare molto su me stessa, per ora va bene così.
Sono finalmente riuscita a tornare al gruppo di scrittura e oggi ho scritto sul tema "favola per adulti" una cosa molto allegra, come sempre. E' un po' un monologo, un po' un flusso di coscienza, l'ho scritto in un'oretta e probabilmente avrei potuto fare di meglio, ma credo che esprima almeno un po' di quello che a volte mi sento dentro, e quindi va bene così.
Stasera avrei voluto leggerlo meglio, ma la mia mente attuale è piuttosto deconcentrata; in ogni caso ho ricevuto feedback positivi: positivi nel senso che è piaciuto, ma anche nel senso di negativi, cioè che le persone sono state male, quindi penso di essere riuscita ad esprimere almeno in parte quel tipo di dolore. Il commento che più mi ha fatto riflettere è sul fatto che il protagonista sia molto arrabbiato, nonostante normalmente in casi come questi ci sia solo disperazione. Sono felice che qualcuno abbia colto questa sfumatura perché per me era importante riuscire ad esprimere la rabbia per una promessa infranta.
"E vissero per sempre felici e contenti.
E’ vero: abbiamo vissuto per sempre
felici e contenti. Dove “per sempre” è da leggere come “fin quando tu non te ne
sei andata”.
Il nostro è stato un “per sempre”
piuttosto breve, rispetto alla normale vastità del concetto, ma in effetti è
stato anche un “per sempre” lungo: dieci anni, lunghi a loro modo perché in
ogni mese insieme abbiamo creduto che fosse arrivata la fine. E tutto questo
era quanto di più bello potessi sperare, anche se in realtà non era una cosa
che avevo mai sperato prima. Prima di te.
Ogni mese, ogni giorno, per essere
precisi 3.653 giorni, ci siamo amati con la consapevolezza che quel momento
poteva essere l’ultimo, ma senza angoscia, anzi, con un fuoco dentro che non si
è mai spento, e tu sai di cosa parlo, quel fuoco che ti brucia nel petto, nello
stomaco, sotto la pelle, diciamo pure ovunque, quando incontri qualcuno che sai
che devi avere vicino, che sai che devi tenerti vicino, e per quanto tempo
farlo, incredibilmente, diventa secondario, scompare, perché il tempo stesso si
dissolve, perché in un istante vi state già amando, in un minuto siete già
sposati, in un’ora vi siete reincarnati almeno altre due volte. Quando hai
incontrato quel qualcuno l’hai provato ed io lo so perché me l’hai detto, lo so
perché quel qualcuno sono io.
Sono io che ti ho portata con me in
questi dieci anni, ti ho abbracciata, a volte anche troppo forte, e ho contato
ogni giorno i minuti passati insieme, e quindi tutti i matrimoni a cui abbiamo
partecipato come sposi, ogni volta diversi; li ho contati perché sapevo che
avrei dovuto tenermeli stretti quando tu te ne saresti andata. Anche se mi
pregavi di non andare via io, anche se ti ho pregato di non andartene io, sapevo,
in fondo a me stesso, nella parte dove si vanno a nascondere tutte le
nefandezze delle nostre anime, che tu un giorno te ne saresti andata.
E io mi ero giurato, ti avevo giurato,
di odiarti con tutte le mie forze se tu l’avessi fatto, di cancellarti da ogni
angolo della mia vita, della nostra casa, dei pensieri, dei desideri, dei
ricordi, dei sogni, sapendo che non ci sarei riuscito, ma l’avrei fatto
comunque, perché è questo quello che deve fare ogni essere umano: andare
avanti. Purtroppo. Io credo invece che ad alcune cose semplicemente non bisognerebbe
sopravvivere. Che ci sono dei dolori morali, dei dolori emotivi, mentali, a cui
non dovremmo in alcun modo sopravvivere. Sopravvivere perché? Per evolverci,
per migliorarci, per continuare a sperare in un domani. Ma se io non volessi?
Se io non voglio più sperare in un domani, migliorarmi, evolvermi da quando te
ne sei andata, perché devo restare?
Ma mi hanno insegnato a farlo, me lo
hanno inculcato così profondamente nella testa, me l’hai inculcato tu così
profondamente dentro, che adesso devo farlo. Anche se so che è questo il motivo
per cui tu non ci sei più.
Per cui tu, nonostante io abbia cercato
di curarti e guarirti e coltivarti come il migliore dei miei fiori, quale tu
sei, quale tu sarai sempre, per cui tu ora sei morta.
Morta. Morte. Una cosa che non temo più.
Che ho temuto, fintanto che ero con te, che ho temuto per te, quando mi facevi
promettere che io non sarei morto per primo. Quando sussurravi al mio fuoco di
bruciare per scaldarti e lui lo faceva, perché non sapeva fare altro accanto a
te, e tu mi baciavi le spalle e piangevi. Quando, incapace di annodare i nostri
sogni insieme ad anni troppo lontani, li osservavo mentre ti scivolavano via
dalle dita.
E tu credo che non lo sappia, ma li ho
raccolti tutti quanti e li conservo in quella scatola di legno intagliato sul comodino,
quella che avevi comprato solo perché era bella, ma poi era sempre rimasta
vuota. Ecco, ora è piena. In realtà è sempre stata piena. Di tutti i desideri
che non avevamo ancora potuto realizzare. Di tutti i desideri che non
realizzeremo mai. Di tutti i desideri che ormai conosco a memoria perché ogni
giorno, da quando te ne sei andata, li sfoglio e lascio che mi taglino le dita.
E di giorni ne sono trascorsi molti di
più del nostro “per sempre” insieme, almeno 12.900, ma non sono sicuro di
questo numero quanto sono sicuro di quello dei giorni in cui abbiamo vissuto di
calore e vicinanza. Perché hai deciso tu, hai scelto tu di lasciarmi nel nostro
giorno, di chiudere il “per sempre” lì dove era iniziato. E io, ancora una
volta, ho annuito alla tua decisione, mi sono messo in ginocchio di fronte alla
foto della tua lapide e ti ho portato delle orchidee. Proprio come quando ti ho
detto per la prima volta che ti amavo, l’ho fatto tremando, l’ho fatto senza
sapere cosa sarebbe accaduto dopo.
E la prima volta è accaduto tutto.
L’ultima, invece, non è successo niente. Perché continuo a vivere con te, ma
senza di te. Senza la tua voce, senza il tuo profumo, senza il tuo calore.
Senza.
Ho imparato subito che la morte è proprio
questo: senza. Privazione, mancanza di qualcosa che prima c’era e ora non c’è
più.
Ho imparato invece solo ora, ora che
anche io sto diventando sempre più freddo, che era proprio questo che non
potevi accettare, che per quanto tu abbia lottato non hai potuto accogliere in
te, che non hai potuto aspettare che accadesse: il senza, la mancanza di
calore, il freddo. Il raffreddarsi del mio fuoco.
Ed è per questo che hai spento prima il
tuo, è per questo che hai messo fine al nostro “per sempre”.
Vero?"
ArHaL
Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.
Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.
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