martedì 7 gennaio 2014

6/365

Day 6 of 365.

Ieri notte ho resistito alla tentazione di guarda Il Settimo Sigillo fino alle 4 e mezza e sono riuscita a prendere sonno per le 3, così ho potuto alzarmi, con molto impegno, al suono della sveglia (alle 11 XD).
Mi sono sentita contenta di appurare che la Befana fosse arrivata anche quest'anno: è sempre una cosa che mi ha intenerito trovare qualcosa per me, anche una cosa piccola, la mattina dell'Epifania, ma quest'anno non ci pensavo neanche, ormai aveva come perso il suo significato, eppure mia madre mi ha fatto trovare un regalo per me. Ho trascorso la mattina con lei in giro e poi sono andata a trovare la nonna e la zia ammalate.

Nel pomeriggio è successo: sono andata al funerale. Non c'erano tanti compagni di classe e parlare con alcune persone che praticamente non vedevo dal giorno del diploma mi ha dato una sensazione molto strana: da un lato mi sentivo a disagio, dall'altro era come se non fosse passato neanche un giorno.
Sempre i soliti pettegolezzi, i solti ricordi sui professori, le solite battute, anche se il clima non era dei più allegri... Quello che mi hanno lasciato i discorsi con loro è che molte cose sono rimaste le stesse, ma altre sono cambiate, tendenzialmente in peggio.
Abbiamo tutti 23 anni e di tutte le persone con cui ho parlato oggi non ce n'è una a cui vada tutto bene: ok, abbiamo ancora molto tempo di fronte a noi, ma cosa è accaduto alla nostra generazione?
Tutti, chi più chi meno, hanno (o conoscono persone - giovani - che hanno) malattie di vario genere, per la maggior parte di origine nervosa o ansiosa.
Cos'è, il nostro liceo classico ci ha prosciugato la voglia di vivere?
La terra in cui viviamo è così piena di detriti tossici sparpagliati un po' ovunque che ha iniziato (per modo di dire) a procurare i danni che tutti si aspettavano?
La nostra generazione è davvero quella che sopporta più peso di tutte, sociale, economico, emozionale?
Sinceramente non mi sento di escludere nessuna di queste ipotesi, comunque la trovo in ogni caso una cosa triste e scoraggiante.
Triste come mi sono sentita quando ho visto la bara del padre del mio "amico" e il suo volto lì vicino avanzare verso la chiesta: la fronte forzatamente spianata, i muscoli della mascella tesi e contratti, propri di una persona che si sforza di mantenere la stessa espressione facciale neutra.
Perché lui è sempre stato così: forte, robusto, fiero. E lo so che mai si sarebbe concesso di piangere in pubblico, seppur al funerale di suo padre.
Era lì, che teneva sottobraccio sua madre e la sorreggeva, mentre lui procedeva a spalle dritte e testa alta, ma non proprie di chi è strafottente, ma di chi è solamente molto serio e compito in ciò che sta facendo.
Mi è venuto da piangere, così come mi è venuto da piangere quando è stato il mio turno di stringergli la mano e invece di guardarlo in faccia, prendere quella mano che mi tendeva e sussurrare un "condoglianze", io mi sono lanciata su di lui e l'ho stretto, l'ho stretto più forte che potevo, per quanto le sue spalle enormi e rigide me lo consentissero, l'ho stretto a lungo, anche che dopo lui mi aveva sussurrato un "grazie" con quel tono di circostanza, di dovere, da automa così come li ha sussurrati mia madre il giorno del funerale di mio nonno.
Quel tono di quando non puoi esprimere il tuo dolore perché comunque nessuno lo potrebbe comprendere e sei anche stanco delle pacche sulle spalle e della gente che piange con te, quel tono di chi vuole fare quello che deve fare per poi tornarsene a casa propria e vivere il suo dolore da solo, in pace.
Ho quasi la certezza che lui non abbia potuto percepire quello che gli ho voluto esprimere con quell'abbraccio lungo, ma inevitabilmente breve: ti voglio bene, sii forte, mi manchi, abbi cura di te, ce la farai.
Parole che in fondo avrei anche potuto dirgli, che potrei anche dirgli, ma che peserebbero come gli altri "condoglianze" e gli altri "mi dispiace, ti sono vicino" perché "quando il dolore è più grande, poi non senti più". Non ora che soffre così tanto, né domani quando tutto sarà più sopportabile, perché ormai siamo distanti anni luce, perché i miei tentativi di riavvicinarlo negli anni li ho fatti e non sono serviti.
E adesso lui soffre indicibilmente e io non posso fare niente, niente che non sia stato un abbraccio in chiesa, un abbraccio fra mille ricevuti.

Dopo il funerale sono addirittura andata a sedermi in un bar in piazza con Linda e un'altra nostra compagna di classe: c'erano diverse persone che conoscevo e, nonostante io non mi sentissi particolarmente a disagio per la mia media, non sono riuscita a salutarli.
Alla fine la gente pensa sempre che io non voglia la loro amicizia, anche se in alcuni casi è vero, che io sia snob, o molte altre cose del genere, quando in realtà non riesco neanche a guardarli in faccia semplicemente perché mi vergogno tantissimo.
Oggi in realtà non so neanche bene di cosa mi vergognassi, ma d'istino ho chinato la testa e non ho salutato nessuno.
Per diverso tempo sono quasi andata fiera di questa cosa, "io non saluto perché non mi piace" o altre cazzate del genere; in un altro periodo la cosa si era attenuata, mi ricordo di volte che sono uscita ed ero io a fermare le persone per strada sorridendo per salutarle, ma ora boh.
Ora sono abituata a Firenze dove la città è enorme, le persone sono tante e sempre diverse e io non conosco quasi nessuno e cammino tranquillamente senza dover pensare di incontrare qualcuno che conosco.
Qui a Palmi ormai non esco più (non che sia mai uscita così tanto) perché poi so che incontrerò gente che mi saluta anche se siamo solo conoscenti, o che pretendono che io le saluti perché sennò "pare male", che ti fermano e ti chiedono "come va?", "come stai a Firenze?", "come procedono gli studi?", "e il fidanzato ce l'hai?", "fa freddo là, eh?", e ma anche basta che cazzo, io odio tutto questo, odio le chiacchiere di convenienza, le odio e le trovo inutili, superficiali e stressanti, sì, le trovo stressanti.
E in più, soprattutto quando si tratta di ragazzi - ma non di rado mi accade anche con le ragazze -, non riesco a guardarli in faccia, mi vergogno tantissimo e non voglio salutare nessuno.
Tutto questo ha un senso?
Non lo so, ma so che non sono altezzosa: sono timida e ho paura di non essere capita.
Perché raramente sono stata capita, in questo cazzo di Palmi (e anche fuori).
Perché se voglio parlare di altro che non sia che clima ci sia a Firenze, quanti esami mi mancano, quanti anni ha il mio fidanzato, oppure di cosa abbia fatto chi però non lo sa nessuno, gli altri mi guardano stralunati e poi cambiano discorso.
Ci sono cose migliori al mondo, gente. O quantomeno più profonde. O sensate.

Perché poi si muore e che ci rimane?
Un pugno di chiacchiere e di pettegolezzi.





ArHaL
Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.

Nessun commento: