venerdì 26 agosto 2016

another day


E ancora un altro giorno riapro gli occhi.
Ancora un altro giorno cerco di elencare e poi cancellare il più velocemente possibile i miei sogni peggiori, un altro giorno in cui resto a letto a ricapitolare se ho ancora tutto dove dovrebbe essere, in cui non voglio alzarmi per guardarmi lo specchio perché scoprirei, ancora un altro giorno, i miei occhi spenti, il corpo pieno di segni di questa battaglia e vedrei chiaro e nitido il vuoto che si apre nel mio petto, vorticando.

Ancora un altro giorno in cui c'è qualcuno che mi dice "alzati!", che mi dice di pensare alle cose da fare, alle cose belle, e io annuisco e invece sono ancora qui, sotto questo lenzuolo che non sento come coperta, ma come sudario.

Non esiste più un posto dove io sia al sicuro. La pace è fatta di attimi di ubriachezza, del tempo di una risata, di un respiro un po' più lungo, e basta, è già finita.
Cerco di stare in piedi, ma le mie gambe cedono.
Cerco di fare qualsiasi cosa sia in mio potere per sorridere, ma dura tutto il tempo di arrivare a casa, alla fine, e ritrovarmi ancora spenta.

Non so che senso abbia andare avanti così, ma evidentemente ce l'ha perché alle persone che mi circondano, alla fine, basta che io sia viva. Certo, possono essere rattristati, ma non importa loro se io sia già morta, qui dentro. Quindi l'importante è che io tenga a respirare questi polmoni, anche quando li sento collassare su loro stessi perché non è vero, purtroppo, che "quando il dolore è più grande, poi non senti più".

"Un altro giorno", mi ripeto, pieno di pensieri oscuri, e di muri da fissare, e di decadenza, e "ancora un'altra notte" fatta di stordimento e incubi e sonno.

Dove sono finita?




ArHaL
Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.

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