mercoledì 30 gennaio 2019

/mirada


Negli ultimi giorni, tra la stanchezza mentale e i pensieri "invasivi" fuori controllo, studiare è diventato impossibile. Forse anche perché non è stata ancora fissata la data di questo benedetto ultimo esame sivigliano. Non lo so.

Sto cercando di organizzare il mio "soggiorno" in Italia perché non potrò restare a Firenze se non per lo stretto necessario per vari motivi: non so da chi formi ospitare e quindo dovrò -spero- andare in foresteria, non ho abbastanza soldi per permettermi di stare troppo lì e soprattutto so che ogni giorno sarà devastante sapendo che quella è la nostra città.
Quindi andrò dove potrò essere ospitata, tra cui Ari a Parma, che ci teneva tanto a vedermi, e anche io a riabbracciare lei e Pit. Solo qualche minuto dopo ho realizzato che tornerò quindi nella città in cui l'ho visto per la prima volta (con anche Ari, tra l'altro).

E' incredibile come abbia vuoti di memoria assurdi, ma invece ricordi nei dettagli un giorno ormai lontano: le sue foto su Facebook che ho guardato e riguardato per cercare di riconoscerlo di persona (non sono mai stata brava con le fisionomie), i suoi passi verso la caffetteria mentre lo aspettavo sulla porta, gli occhi bassi dietro i suoi occhiali, il fatto che fosse a mezze maniche mentre io avevo il cappotto pesante ancora a Maggio. I suoi modi sicuri di sè al di là del tavolo e lo sguardo sfuggente di chi alla fine tutta quella sicurezza non ce l'ha. Il ristorante nell'albergo in cui lavorava, che tanto ha odiato. Lo spritz alla mela che ci preparò, la foto, quella prima maledetta foto che gli scattai, che tenni come sfondo sempre, sempre fino a rimpiazzarla con una nostra foto insieme, fino a eliminarla con un'immagine qualunque trovata su Google che ormai tengo ovunque per provare a ricordarmi perché è lì ("not all those who wander are lost" mi ripete la voce di Tolkien ogni volta che la guardo).

Non guardo quella foto da molti mesi ormai, ma ricordo anche quella alla perfezione: un po' buia e sgranata lo ritraeva in piedi, quasi di profilo, con il bicchiere in mano, lo sguardo ancora basso dietro i suoi occhiali che poi si ruppero e non ricomprò più, le braccia e le labbra tese. Non era niente per me, eppure era bello, in modo strano, ma bello. Come lo è ora dentro di me.

Quel giorno uscii un po' brilla dal suo locale e lui mi accompagnò in stazione con Arianna, tenendomi sotto braccio per la prima volta. Fu spigliato dal primo momento e mi spiazzò, ma mi piacque anche per quello. Quel giorno mi diede un abbraccio stupido, forse con poco significato, ma in questo momento, anche se so che non dovrei, darei l'inquantificabile pur di avere anche solo un abbraccio come quello da lui. Quel giorno non so nemmeno più se maledirlo o benedirlo, so solo che i nostri sguardi si sono incrociati e ora niente può essere più come prima.

Mentre scrivo sto provando a svuotare i cellulari perché non ce la faccio più a trattenere le lacrime ogni volta che trovo una sua foto in una cartella, non ce la faccio più a vedere quella nostra foto insieme in Spagna che risalvai per incoraggiarmi con un'app che contava per me i giorni, le ore, i minuti fino al 10 Febbraio, il giorno in cui dovrò rimettere piede a Firenze. 

Ripenso a tutte le cose che ho fatto e a come mi sento e mi trovo decisamente patetica. Ma credo che questo sia attualmente l'ultimo dei miei problemi.
Il primo è, come sempre, continuare a camminare fin quando ce la faccio. E dopo camminare ancora.
E ancora.

E ancora.




ArHaL
Il tempo cambia il volto delle cose, anche dei ricordi.

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